Il mondo distopico di Abissi d’acciaio

da | 20 Feb 2022

Il mondo distopico di Abissi d'acciaio è un argomento estremamente interessante: questo libro di Asimov - che dopo i racconti apre il ciclo dei robot della Grande Saga Galattica - tocca molti temi: la fantascienza, il poliziesco, il mistico… ma è anche una distopia?

Per anni a questa domanda avrei risposto di no: effettivamente Asimov ambienta l'avventura di Lije Baley e Danell R. Olivaw in un mondo distopico, in cui i terrestri vivono in ambienti chiusi in città sovraffollate con risorse sempre più scarse, ma non è questo il tema del romanzo.

Anzi, avrei risposto che si tratta di un giallo con ambientazione fantascientifica, senza nemmeno entrare nel merito della distopia.

Vedendo però sempre più spesso catalogare Abissi d'acciaio fra i romanzi distopici ho deciso di rileggerlo per chiarirmi le idee.

Abissi d’acciaio: quarta di copertina

New York è irriconoscibile: niente più torri e grattacieli. Al loro posto, un'immensa metropoli "coperta" che non viene mai a contatto con l'aria, nella quale milioni di uomini e donne brulicano come formiche su strade mobili.

Una megalopoli in cui i robot sottraggono i posti di lavoro agli uomini a un ritmo sempre più preoccupante e alle cui porte si estende come una sfida Spacetown, la città degli Spaziali, dove tutto è lusso e ariosità, superbia e ostentazione.

C'è da meravigliarsi che uno dei tanti terrestri scontenti ammazzi uno Spaziale, e che il caso rischi di diventare un incidente interplanetario?

Per risolverlo bisogna ricorrere al miglior poliziotto della City, Lije Baley, e affidargli come compagno il più bravo poliziotto di Spacetown, R. Daneel Olivaw.

Il guaio è che quella "R" significa robot: sta per cominciare una sfida implacabile tra l'intelligenza umana e quella artificiale, il cui fine ultimo è quello di risolvere l'omicidio più esplosivo che la Terra ricordi.

Il mondo distopico di Abissi d'acciaio: Copertina

La città

Il mondo distopico di Abissi d'acciaio: La città

La prima cosa che notiamo è il mondo distopico di Abissi d'acciaio in senso stretto: la città.

New York, in questo caso, è una città sovrappopolata, caotica e opprimente. Nel futuro raccontato da Asimov l’umanità ha colonizzato una cinquantina di pianeti, ma la stragrande maggioranza degli umani vive sulla Terra in enormi conglomerati urbani al coperto.

Non solo le abitazioni, ma anche le strade e gli spazi aperti sono… chiusi! Il ciclo vitale è regolato da alternanza artificiale fra luce e oscurità, le persone non vedono mai il cielo e stare all'aria aperta è una specie di tabù.

Citazioni sul mondo distopico di Abissi d'acciaio

Posizione 198-201

Sulla strada celere c’era la solita folla: i passeggeri in piedi sui livelli inferiori e quelli con diritto a sedere sui superiori. Un fiume continuo di umanità abbandonava la strada per abbordare i nastri locali o le uscite che, mediante ponti e arcate, immettevano negl’infiniti labirinti dei settori cittadini. Dalla parte opposta un flusso altrettanto continuo di viaggiatori saliva sulla strada sfruttando i nastri acceleratori.

Posizione 273-278

Pensate all’inefficienza di centinaia di migliaia di case per centinaia di migliaia di famiglie paragonate alle unità che formano i settori; allo spreco di una collezione di videolibri in ogni abitazione quando ne basta una concentrata per sezione; al video indipendente per ogni famiglia quando si può adottare un efficace sistema di video-condutture. E se è per questo, pensate alla follia di un’infinità di cucine e stanze da bagno tutte identiche, ma riprodotte in quantità, contro le più efficienti strutture rese possibili dalla cultura delle Città (mense e sale-doccia).

Posizione 282-292

Sulla Terra c’erano circa ottocento Città, la cui popolazione media si aggirava sui dieci milioni. Ogni Città divenne un complesso autonomo, quasi autosufficiente dal punto di vista economico. Costruiva da sé il suo “tetto”, le sue recinzioni e i suoi livelli, sotterranei; divenne una caverna d’acciaio, un’enorme, protetta caverna di cemento e acciaio. La costruzione procedeva scientificamente. Al centro c’era l’enorme complesso degli edifici amministrativi. Accuratamente orientati fra loro e con il dovuto rispetto all’equilibrio della Città nel suo complesso, sorgevano i settori. I collegamenti fra un settore e l’altro erano costituiti dalle strade celeri e dai nastri locali. In periferia si trovavano le industrie, le colture idroponiche, le enormi vasche per le colture dei lieviti e le centrali energetiche. Attraverso questi veri e propri strati urbani correvano le condutture dell’acqua e gli scarichi delle fogne, e naturalmente sorgevano scuole, negozi, prigioni; la ragnatela era completata dai cavi trasportatori d’energia e dai raggi per le comunicazioni. Non c’era dubbio che la Città rappresentasse il culmine del processo che aveva portato l’uomo a trionfare sull’ambiente. Non il volo spaziale, non i cinquanta mondi colonizzati che di questi tempi facevano così gli altezzosi: la Città era il vero trionfo del genere umano.

Posizione 383-386

«Daneel, tutto quello che vedi è un unico edificio. L’intera Città, con i suoi venti milioni di abitanti, è un gigantesco blocco senza interruzioni, con le strade celeri che lo percorrono a cento chilometri all’ora. Ci sono quasi quattrocento chilometri di corsie veloci; per non parlare delle centinaia e centinaia di strade locali».

Il distacco dalla natura

Il distacco dalla natura nel mondo distopico di Abissi d'acciaio

Un altro tema ricorrente nelle maggiori distopie è l'allontanamento del genere umano da una visione naturalistica del mondo. In Abissi d'acciaio la natura è guardata con ostilità, come qualcosa da cui difendersi.

Come dicevo prima, gli umani non vedono mai il cielo - è più una stravaganza da ricchi - e stare all'aperto è qualcosa di indesiderabile. Non ci sono animali, se non negli zoo (ma nel romanzo vengono citati solo cani, gatti e uccelli) e il banale collegamento fra cibo e natura è completamente assente.

Citazioni sul distacco dalla natura di Abissi d'acciaio

Posizione 40-45

Si alzò, girò la schiena e s’incamminò verso la parete alle spalle della scrivania. Toccò un bottone invisibile e una sezione del muro divenne trasparente. Baley batté gli occhi perché non s’aspettava l’improvvisa inondazione di luce grigia. Il questore sorrise. «Mi sono fatto installare questo trucchetto l’anno scorso, Lije. Non credo di avertelo mai mostrato. Vieni, dai un’occhiata. Ai vecchi tempi tutte le stanze avevano un affare così. Si chiamavano finestre, lo sapevi?» Baley lo sapeva perfettamente, perché aveva visto parecchi romanzi storici. «Ne ho sentito parlare» disse.

Posizione 58-63

In quarantadue anni di vita aveva visto raramente la pioggia o altri fenomeni della natura. Commentò: «Mi sembra uno spreco che tanta acqua si versi sulla città. Dovrebbe cadere solo nei bacini». «Lije» disse il questore «sei un inguaribile uomo moderno. Questo è il tuo guaio. Nel medioevo la gente viveva all’aperto, e non intendo solo nelle fattorie, ma nelle città. Perfino a New York si viveva all’aperto. Quando pioveva, la gente non pensava che fosse uno spreco. Era contenta. Viveva a contatto con la natura. È più sano, è meglio. La vita moderna ha divorziato dalla natura, da qui vengono i guai. Qualche volta, leggi come andavano le cose nel Secolo del Carbone.»

Posizione 293-299

Praticamente nessuno, sulla Terra, viveva fuori delle Città. Fuori non c’era che desolazione e aria aperta, che ben pochi riuscivano a sopportare con un minimo d’equanimità. Naturalmente era necessario conservare degli spazi aperti: c’erano l’acqua che è necessaria agli uomini, il legno e il carbone che erano le materie prime da cui, dopo lunghi processi, si ricavava la plastica, e le riserve naturali di lievito e fermenti. (Il petrolio era finito da molto tempo, ma alcune varietà di lievito ricche d’olio costituivano un buon sostituto.) Nelle zone disabitate fra Città e Città c’erano poi le miniere, e una fetta non trascurabile di terra – più di quanto la gente, di solito, immaginasse – veniva ancora sfruttata per la agricoltura e l’allevamento del bestiame. Non era un sistema efficiente per produrre cibo, ma carne, maiale e grano potevano sempre essere smerciati sul mercato dei generi di lusso o essere esportati.

Posizione 905-918

«Bene, se la cosa non ti offende cercherò di spiegare. Posso avere un pezzo di carta e uno scriptor? Grazie. Ora guarda qui, collega Elijah. Disegnerò un cerchio grande e lo chiamerò New York City. Ora, e in modo che i due cerchi si tocchino, ne disegnerò un altro che chiamerò Spacetown. Nel punto in cui si toccano disegnerò una freccia e la chiamerò Barriera. Esistono altri punti di collegamento, secondo te?» Baley rispose: «Naturalmente no. Non ce ne sono altri». «In un certo senso» disse l’automa «sono contento di sentirti dire questo. Corrisponde a ciò che mi è stato insegnato sulla mentalità terrestre. La Barriera è l’unico punto di contatto diretto. Ma sia la Città sia Spacetown sono aperte alla campagna in tutte le direzioni. È possibile che un terrestre abbia lasciato la città tramite una delle numerose uscite e sia arrivato a Spacetown attraversando la campagna, in un punto dove nessun ostacolo l’avrebbe fermato.» La punta della lingua di Baley toccò il labbro superiore e per un momento restò lì. Poi disse: «Attraversando la campagna?». «Sì.» «Attraversando la campagna da solo?» «Perché no.» «A piedi?» «Senz’altro. A piedi è molto difficile essere individuati. L’assassinio ha avuto luogo all’inizio della giornata lavorativa, quindi il viaggio dev’essere avvenuto prima dell’alba.» «Impossibile! In questa Città non c’è nessuno che sarebbe disposto a uscire all’aperto, da solo.»

Posizione 985-1000

In cima ai livelli dei settori più ricchi ci sono i solarium naturali, dove un divisorio di quarzo con un rivestimento mobile di metallo esclude l’aria ma lascia entrare la luce del sole. Là, mogli e figlie dei più alti funzionari della Città prendono la tintarella. E là, ogni sera, si ripete un fenomeno unico. Cade la notte. Nel resto della Città (compresi i solarium artificiali, dove milioni di persone, a turno e per un tempo rigidamente stabilito, possono esporsi alle lampade a raggi ultravioletti) il decorso della giornata è stabilito da un calendario convenzionale. L’attività produttiva potrebbe continuare senza problemi ventiquattr’ore su ventiquattro, in tre turni di otto ore o in quattro di sei ore. Non ci sarebbe differenza fra “notte” e “giorno”, ma luce e lavoro potrebbero seguire un ciclo ininterrotto. Non mancano mai i riformatori civici che periodicamente suggeriscono un’innovazione del genere, nell’interesse dell’economia e dell’efficienza. Ma è una proposta che non verrà mai accettata. La maggior parte dei vecchi costumi terrestri sono stati aboliti nell’interesse delle già citate efficienza e produttività: lo spazio, la privacy e perfino, in parte, il libero arbitrio. Dopotutto erano prodotti della civiltà, e non più vecchi di diecimila anni. L’abitudine di dormire la notte, tuttavia, è vecchia quanto l’uomo: un milione di anni. Non è facile rinunciarci. Benché nessuno si accorga che sta scendendo la sera, le luci dei settori abitati si abbassano e il ritmo della Città rallenta. Benché nessuno possa distinguere il mezzogiorno dalla mezzanotte in base ai fenomeni cosmici, l’umanità continua a regolarsi sulle lancette dell’orologio anche nel corridoi delle Città. Le strade celeri si vuotano, i rumori della vita si attenuano, la folla che brulica nelle colossali gallerie scema; New York City riposa sull’emisfero in ombra, anche se nessuno se ne accorge. E i suoi abitanti dormono.

Posizione 1295-1305

«Vuole accettare del cibo?» chiese Fastolfe. Indicò il tavolo che divideva lui e R. Daneel dal terrestre, ma sopra non c’era altro che una serie di sferoidi colorati. Baley si sentì preso in contropiede, perché li aveva scambiati per gingilli. R. Daneel spiegò: «Sono i frutti di una pianta che cresce su Aurora. Ti consiglio di provare questo, si chiama mela ed è ritenuto molto buono». Fastolfe sorrise. «R. Daneel non può dirlo per esperienza personale, ma ha ragione.» Baley si portò la mela alla bocca. La superficie era rossa e verde, al tatto era fresca e aveva un odore lieve e piacevole. Si fece forza e diede un morso, ma l’inatteso gusto aspro della polpa gli fece limare i denti. Masticò il boccone suo malgrado. Gli abitanti della Città mangiavano cibo naturale solo quando il razionamento lo permetteva e lui stesso aveva assaggiato vera carne o pane; tuttavia anche quegli alimenti venivano trattati in modo speciale: erano cotti o essiccati, mescolati tra loro e rinforzati. La frutta, per esempio, era distribuita sotto forma di salse o conserve; ciò che teneva in mano adesso, invece, veniva direttamente dalla terra sporca del pianeta. Baley pensò: “Spero che l’abbiano lavata, almeno”.

Posizione 2008-2010

Per Ben era la prima visita allo zoo ed era tutto eccitato: dopotutto non aveva mai visto un cane o un gatto prima di allora. E poi erano arrivati alla voliera degli uccelli, altissima! Perfino Baley, che l’aveva vista non so quante volte, non era immune dal suo fascino.

Posizione 1683-1692

La natalità è bassa e l’incremento demografico rigidamente controllato. Ci preoccupiamo di mantenere un preciso equilibrio fra uomini e robot per garantire a tutti il più alto confort individuale. I bambini vengono scrupolosamente esaminati per scoprire disfunzioni fisiche e mentali prima che sia loro permesso di crescere.» Baley lo interruppe: «Vuol dire che li uccidete, se non…». «Se non sono adatti, sì. Posso assicurarle che avviene in modo indolore. La cosa le sembra mostruosa, ma non più di quanto sembri mostruosa a noi la mancanza di controllo demografico sulla Terra.» «Il controllo c’è, dottor Fastolfe. Ogni famiglia può avere un dato numero di bambini.» Fastolfe sorrise, tollerante «Un dato numero di bambini qualsiasi, non bambini sani. E anche così ci sono le infrazioni e la vostra popolazione cresce.» «Chi ha il diritto di giudicare se un bambino deve vivere?» «È una questione complicata e non posso risponderle in quattro parole. Un giorno ne discuteremo in dettaglio.»

La sovrappopolazione e la carenza di risorse

La sovrappopolazione e la carenza di risorse nel mondo distopico di Abissi d'acciaio

La popolazione della Terra in Abissi d'acciaio ammonta a otto miliardi di persone, ed è chiaro che le risorse faticano sempre più a soddisfarne le esigenze.

Nel 1953 la popolazione mondiale era di circa due miliardi e mezzo di persone, evidentemente ad Asimov otto miliardi sembrava un numero esageratamente grande… scontato dire che questa cosa l'ha sbagliata di brutto.

Non ha sbagliato però a prevedere che le risorse sarebbero scarseggiate, purtroppo quel momento è già iniziato!

Citazioni su sovrappopolazione e carenza di risorse

Posizione 12-14

Esaminò il contenuto della borsa del tabacco e fece qualche calcolo mentale: a due pipate al giorno, poteva tirare fino alla prossima distribuzione. Uscì lentamente dall’angolo riservato (si era conquistato un angolo riservato due anni prima) e attraversò la sala comune.

Posizione 88-89

Non si può pretendere che otto miliardi di persone, quant’è la popolazione della Terra, possano permettersi una cupola per famiglia.

Posizione 1636-1645

Il dottor Fastolfe era sorpreso. «Siete soddisfatti della vita sulla Terra?» «Tiriamo avanti.» «Sì, ma per quanto? La popolazione aumenta continuamente; le calorie a disposizione soddisfano le esigenze della vostra gente grazie a sforzi sempre più strenui. La Terra è in un vicolo cieco, amico.» «Tiriamo avanti» ripeté Baley, cocciuto. «A malapena. Una Città come New York è costretta a fare sforzi colossali per assicurare la fornitura d’acqua e l’eliminazione dei rifiuti. Le centrali atomiche, che forniscono l’energia, funzionano con scorte di uranio che è sempre più difficile ottenere anche dagli altri pianeti del sistema, mentre la domanda sale costantemente. La vita delle Città dipende dall’arrivo della polpa di legno che alimenta le vasche dei lieviti, e dei minerali che servono agli impianti idroponici. L’aria dev’essere cambiata costantemente. È un equilibrio che presto non sarà più tale, e ogni anno si aggiunge qualche nuova complicazione. Che ne sarebbe di New York se lo spaventoso flusso di materiali in accesso o in uscita fosse interrotto anche per una sola ora?» «Non è mai successo.» «Questo non significa che non succederà.

Posizione 1700-1707

«Va bene, vedo che ci avviciniamo al punto. In che modo Spacetown vi aiuta a risolvere il problema?» «Noi cerchiamo di introdurre i robot sulla Terra perché vogliamo sbilanciare l’equilibrio economico delle Città.» «E questo sarebbe il modo in cui volete darci una mano?» Le labbra di Baley fremevano. «Mi sta dicendo che cercherete di creare di proposito disoccupazione e declassamento?» «Non per crudeltà o cinismo, mi creda. Un gruppo di diseredati, o declassati come lei li chiama, è quello che ci serve per formare un nuovo nucleo di coloni. La vostra antica America fu scoperta da navi piene di galeotti. Non vede che il sistema delle Città non può fare nulla per i diseredati? Essi non hanno niente da perdere, ma mondi da guadagnare se lasceranno la Terra.»

Posizione 2878-2887

Lievitown non era un nome ufficiale: nessun atlante e nessuna carta dei quartieri di New York lo riportava. Quello che la gente, nel linguaggio corrente, chiamava “Lievitown” era semplicemente l’insieme dei distretti di Newark, New Brunswich e Trenton (secondo la classificazione dell’Ufficio Postale). Si stendeva come una lunga striscia in quello che una volta era stato il New Jersey, ed era punteggiato di quartieri d’abitazione che per lo più si addensavano intorno a Newark Center e Trenton Center; la maggior parte del territorio, tuttavia, era occupata dalle fattorie multistrato in cui crescevano e si moltiplicavano migliaia di varietà di lieviti. Un quinto della popolazione della Città lavorava alla coltivazione dei lieviti e nelle industrie sussidiarie. Cominciando dalle montagne di legno e cellulosa grezza che affluivano in Città dalle foreste degli Allegheny, e continuando per le vasche d’acido che tramite idrolisi li trasformavano in glucosio, i carichi di nitrati e fosfati che costituivano i principali additivi, giù giù fino alle sostanze organiche fornite dai laboratori chimici, tutto mirava a un solo scopo: produrre lieviti, sempre più lieviti. Senza di essi, otto miliardi d’uomini sarebbero morti di fame in un anno.

Perdita di individualismo, classismo e omologazione culturale

Perdita di individualismo, classismo e omologazione culturale in Abissi d'acciaio di Isaac Asimov

Anche questi sono elementi molto frequenti che caratterizzano il romanzo distopico: la messa al bando dell'individualismo a favore della collettività, la rigida suddivisione della popolazione in classi sociali, ognuna con i propri privilegi, e l'omologazione della cultura (verso il basso, solitamente).

Il mondo distopico di Abissi d'acciaio non solo presenta questi aspetti, ma li abbraccia in pieno e sono essenziali nella struttura della sua società.

Citazioni su individualismo, classi e omologazione

Posizione 242-246

Si portò sulla piattaforma celere, si fece largo tra i passeggeri in piedi e salì la stretta rampa a spirale che portava al livello superiore, dove sedette. Non infilò il biglietto con il numero di qualifica nella fascia del cappello finché non ebbero superato i settori dell’Hudson: un C-5 non aveva diritto a sedere a est del fiume e a ovest di Long Island, e benché al momento ci fossero posti a sufficienza un controllore l’avrebbe fatto senz’altro sloggiare. La gente era sempre più schizzinosa sui privilegi che spettavano alle varie categorie, e in questo Baley capiva perfettamente i suoi simili.

Posizione 400-402

Baley fece una valutazione a freddo: la Città era il culmine dell’efficienza, ma chiedeva parecchio ai suoi abitanti. Chiedeva loro di assoggettarsi a una ferrea routine e di piegare le esigenze individuali a un controllo rigoroso, scientifico. Di tanto in tanto le forze represse esplodevano.

Posizione 596-598

Fu durante il primo anno di matrimonio, quando il bambino non era ancora nato (per l’esattezza venne concepito in quei giorni; il loro Q.I., l’attestato genetico e la posizione di Lije nel Dipartimento davano loro diritto a due figli, di cui il primo poteva essere concepito nel primo anno di matrimonio).

Posizione 1562-1565

Ciò che rendeva la vita sopportabile erano i piccoli privilegi connessi alla qualifica: un sedile più comodo, un taglio di carne migliore, un’attesa più breve nella fila degli uffici e così via. A una mente filosofica queste potranno sembrare inezie, cose per cui è inutile lottare. Ma nessuno, per filosofo che sia, può rinunciare ai piccoli privilegi già acquisiti senza dolore. È questo il punto.

Posizione 1569-1575

Era di moda, fra i moderni scrittori politici, considerare con disprezzo e disapprovazione il “fiscalismo” del medioevo, quando l’economia era basata sul denaro. La lotta per l’esistenza, dicevano, era una competizione brutale. In quelle condizioni non si poteva costruire una società veramente complessa, perché la “corsa alla lira” generava nell’uomo una terribile ansia. (Gli studiosi avevano varie teorie sull’origine della parola “lira”, ma il senso della frase, nel complesso, non sfuggiva). Per contrasto, il moderno “civismo” veniva esaltato come molto più efficiente e illuminato. Forse era così. Esistevano romanzi storici di gusto sensazionale e romantico, e in quelli che riflettevano il punto di vista dei medievalisti si sosteneva che il “fiscalismo” era il progenitore di virtù quali l’individualismo e l’iniziativa.

Posizione 1892-1896

Le mense di settore erano le stesse in tutta la Città. Baley era stato a Washington, Toronto, Los Angeles, Londra e Budapest per lavoro e anche lì erano identiche. Forse nel medioevo il mondo era stato più vario, perché si parlavano lingue diverse e i cibi erano diversi. Ma oggi i prodotti dei lieviti erano gli stessi da Shangai a Tashkent, da Winnipeg a Buenos Aires; e l’inglese, anche se forse non era più la lingua di Shakespeare o Churchill, era l’idioma corrente in tutti i continenti.

Non solo quello di Abissi d’acciaio è un mondo distopico

Non solo quello di Abissi d'acciaio è un mondo distopico nel senso che l'ambientazione è distopica, ma tutto - la società, i personaggi, l'indagine ecc. - ruota attorno alle componenti distopiche del romanzo.

L'ambientazione la fa da padrona, in quanto la storia si svolge su un pianeta in cui le risorse scarseggiano e un incidente serio porterebbe al tracollo; i terrestri vivono in città in ambienti chiusi, tanto che quasi tutti hanno paura di uscire all'aperto e vedono la natura con diffidenza, la sovrappopolazione è spesso causa di tensioni sociali e sommosse.

Inoltre - e senza spoilerare - il crimine su cui Baley e Olivaw indagano è legato a doppio filo a tutto ciò.

Mi ripeto la domanda dell'inizio: Abissi d'acciaio è un romanzo distopico?

Ora che mi sono chiarito le idee, rileggendolo in quest'ottica, modifico la mia risposta: sì - Giosafatte - lo è!

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